Cronache della sesta estinzione by Stefano Valenti

Cronache della sesta estinzione by Stefano Valenti

autore:Stefano Valenti [Valenti, Stefano]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Il Saggiatore
pubblicato: 2023-09-07T22:00:00+00:00


4

E di frequente mi addormentavo ed evitavo di svegliarmi. Era l’effetto della febbre che interponeva tra me e il mondo una sorta di muro. Indossavo il maglione di lana blu, a causa di quel freddo che mi accompagnava dappertutto. La flebo nel braccio, gli psicofarmaci. Il giorno prima ero fuggito. Fuori avevo bevuto. Gli infermieri mi avevano riaccompagnato in camera. Mi aveva visitato un giovane medico. Mi ero infilato nel letto tutto vestito. Mi avevano comunicato il risultato delle analisi; intossicazione da psicofarmaci e alcol. Eppure, in quella nuova camera (singola) era tutto diverso dalle volte precedenti e avevo l’impressione di cavarmela, nel sollievo al calare della febbre. E perfino non mi davano pensiero le pareti della camera, per metà tinteggiate di bianco e per l’altra metà di un grigio talpa, invase dalla luce che entrava dalla grande finestra priva di tende. La mia vita da malato era scandita dall’attenta analisi di ogni singolo elemento della stanza, pochi, da doverli riconsiderare diverse volte al giorno.

La fatica era il doversi lavare. Era un’operazione complicata tanto che quella che l’infermiera chiamava pulizia personale era limitata al frizionare il torso e le gambe con un guanto bagnato.

La flebo impediva il deambulare e rendeva altresì complesse quelle operazioni di pulizia. Così come la bombola dell’ossigeno, fissata a una sorta di presa nel muro dietro la testa del letto, dalla quale fuoriuscivano due tubicini in gomma che andavano ad appoggiare dietro le orecchie e a sfregare al di sotto del mento e fin su alle narici. E quello sfregare dei tubicini sulla pelle aveva finito col causarmi una forma di irritazione che richiedeva l’uso di creme.

Nella condizione di sudorazione continua, attendevo con desiderio il cambio d’aria che mi investiva quando mi portavano di reparto in reparto in necessità di nuove indagini mediche.

Era un’avventura quel muovermi avvolto in una coperta in sedia a rotelle accompagnato da un infermiere. E mettevo grande attenzione e le forze rimaste nel non barcollare quando mi alzavano, nei brevi tratti da percorrere tra la sedia e il letto, tra il letto e il bagno.

E mi pettinavo riponendo infine il pettine di tartaruga nel taschino della camicia nella quale mi convincevo a riposare, come se non esistesse altra possibilità della camicia nel dare il benvenuto al mondo. Come se non ci fosse altra possibilità se non una certa malinconia, anche nella guarigione.

E avevo pregato l’infermiera di aprirmi il pacchetto di biscotti (non riuscivo ad aprire quelle confezioni). E, nel non potermi alzare, quello che vedevo dalla finestra era appena l’estremità alta del palazzo di fronte dentro al quale con tutta probabilità la vita continuava a vivere. La febbre non voleva andarsene ed era la sera a letto immobile, assunto il cibo e le medicine della notte, che mi raccoglievo ad ascoltare gli ultimi rumori del corridoio (l’andare e venire stanco che in qualche modo mi rassicurava).

Nei giorni di più grande barcollare ero solito tenermi aggrappato a un’idea. Prendevo il parapetto della vita a due mani e mi vi trattenevo. Era uno spettacolo l’attestarmi senza riuscirci per poi tornare, grazie a una capriola, a riprendere equilibrio.



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